Teorie sullo sviluppo del pensiero geometrico

Nel suo libro “La rappresentazione dello spazio nel bambino”, Piaget (1947) distingueva lo spazio percepito dal bambino attraverso l’attività senso-motoria (spazio percettivo), dallo spazio che il bambino può rappresentarsi a livello mentale con la comparsa del linguaggio (lo spazio rappresentativo). L’autore, inoltre, individuava tre grandi classi di rapporti spaziali: i rapporti topologici, che riguardano ad es. la vicinanza, la separazione, l’ordine ed i vari tipi di connessione fra i vari punti dello spazio, i rapporti proiettivi, cioè quei rapporti spaziali che sono in stretta relazione con il punto di vista da cui si osservano gli oggetti e variano col variare di questo e infine i rapporti euclidei che sono oggettivi e definibili mediante ricorso all’unità di misura e quindi non sono indipendenti dalle operazioni di misura come quelli topologici, né hanno carattere soggettivo come quelli proiettivi.

Attraverso i suoi esperimenti, Piaget è arrivato alla conclusione che i bambini di quattro anni giungono già a dare una corretta rappresentazione di tutti i rapporti topologici, mentre per una corretta rappresentazione dei rapporti spaziali euclidei e proiettivi bisognerà aspettare fino a dopo gli 8-9 anni, quando cioè i bambini avranno raggiunto un tipo di pensiero operatorio e reversibile .

Volendo sintetizzare, l’Autore individua tre diversi livelli di pensiero geometrico che ne descrivono lo sviluppo, dalla fanciullezza all’età adulta:

-La prima fase, che si evidenzia durante il periodo senso-motorio, è caratterizzata appunto dai concetti topologici. Il bambino prende in considerazione le relazioni spaziali ma non le dimensioni o la forma delle figure.

-Nella seconda fase si sviluppa il concetto di prospettiva: il bambino fa propri i concetti di linea retta e angolo retto. L’operazione in ogni caso resta ancora condizionata dall’azione, e dunque dalla realtà fenomenica.

- La terza fase è caratterizzata dal riconoscimento e dalla discriminazione di posizioni bi o tridimensionali e dal ragionamento deduttivo che permette di inferire le proprietà di due figure (congruenza, simmetria…)

 

Il carattere genetico dello sviluppo dell’intelligenza presuppone che ogni periodo emerga dal precedente ma con strutture logiche qualitativamente diverse. Piaget e Inhelder hanno dimostrato che i bambini in età pre-scolare potrebbero discriminare gli oggetti sulla base di caratteristiche topologiche, ma non distinguono oggetti curvilinei o rettilinei. E’ presente anche una difficoltà nella copia di forme geometriche, partendo dal presupposto che la coordinazione occhio-mano influisce sulla concezione dello spazio. La vera e propria capacità di discriminazione tra forme della geometria euclidea si sviluppa dai quattro anni d’età, con il passaggio dall’intelligenza senso-motoria all’intelligenza operatoria (dapprima di tipo “intuitivo” dai 4 ai 7 anni; e poi di tipo “concreto” dai 7 agli 11 anni) che è reso possibile dal progressivo consolidarsi della funzione rappresentativa.

Mentre i lavori di Piaget suggeriscono che le idee sulla geometria si sviluppano nel corso del tempo, diventando sempre più integrate e seguendo quindi un ordine naturale, le ricerche più recenti vanno in un’altra direzione.

 

Secondo Crowley, invece,  i progressi da un livello al successivo dipendono non tanto dall’età ma dall’educazione fornita al bambino. Il tipo d’educazione fornita deve, secondo l’autore, essere coerente con il livello del bambino. Se è fornita un’istruzione che si colloca ad un livello più alto, lo studente incontrerà difficoltà nel seguire i processi di pensiero formulati dall’insegnante. Come sosteneva Van Hiele , di cui parleremo ampiamente più avanti, infatti, due persone che ragionano a diversi livelli hanno difficoltà nel comprendersi. Ciò accade spesso tra insegnante e studente. Nessuno dei due riesce a capire il percorso mentale dell’altro e il loro dialogo continua unicamente perchè l’insegnante tenta di intuire il pensiero dello studente e ad esso si uniforma. I ragazzi non riescono a maturare un vero e proprio apprendimento se imparano, per abitudine, a manipolare relazioni matematiche che non conoscono e delle quali non hanno mai partecipato alla costruzione. Essi finiscono così per disporre della stessa unica rete di conoscenze dell’insegnante, identica per tutti, rete nella quale le relazioni sono di tipo logico e deduttivo. E’ difficile per lo studente conservare nella memoria a lungo termine una rete di relazioni così costruita, non fondata su esperienze sensoriali personali. Nel migliore dei casi egli non conoscerà altro, oltre a ciò che gli è stato insegnato.

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